Buddismo

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Template:Stack inizio Statua del Buddha Shakyamuni situata nel monastero di Baolian, (isola di Lantau, Hong Kong, Cina). Inaugurata il 29 dicembre 1993, alta oltre 26 metri, è una delle più grandi al mondo. La sua mano destra è sollevata nellTemplate:'abhyamudrā, il "gesto di incoraggiamento" per invitare ad avvicinarsi; la mano sinistra è invece nel varadamudrā, il "gesto di esaudimento", ovvero la disponibilità ad esaudire i desideri dei fedeli<ref>Hans Wolfgang Schumann. Immagini buddiste. Roma, Mediterranee, 1986, pp.33 e sgg.</ref>.

La bandiera buddista.

Il dharmacakra, simbolo della religione buddista.

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Il buddismo o buddhismo (Template:Sanscrito)<ref>«Dal n. di Budda, lett. "lo svegliato, l'illuminato" (Buddháh, dal part. pass. sans. di bódhati), soprannome del fondatore del buddismo», termine presente in italiano già nel 1839 (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli) e preferibile alla grafia non adattata per i dizionari Treccani, Sabatini-Coletti, De Mauro, Garzanti, Gabrielli, Zingarelli 1995, Devoto-Oli 2006/2007. In alcune enciclopedie si trova invece "buddismo", fra queste la Zanichelli, l'Enciclopedia UTET/La Repubblica, l'Enciclopedia Rizzoli Larousse (che nella voce generalista inserisce ambedue, ma nei lemmi di approfondimento preferisce la grafia con lTemplate:'h), l'Enciclopedia Einaudi, nonché nelle enciclopedie e dizionari specialistici della materia, come il Dizionario di Buddismo Milano, Bruno Mondadori, 2003; Dizionario della Saggezza Orientale Milano, Mondadori, 2007; Buddismo, Enciclopedia delle Religioni a cura di Mircea Eliade, Milano, Jaca Book, 2004; Buddismo Milano, Electa, 2005; Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche Roma, Rai; Enciclopedia di Filosofia Milano, Garzanti, 1985; Dizionario di Filosofia Milano, Rizzoli, 1976; Enciclopedia delle Religioni Milano, Garzanti, 1996; Dizionario delle Religioni orientali Milano, Vallardi, 1993; Dizionario di Sapienza orientale Roma, Edizioni Mediterranee, 1985; Dizionario del buddismo Milano, Garzanti, 1994; Dizionario delle Mitologie e Religioni Milano, Rizzoli, 1989; Immagini Buddiste, Dizionario iconografico del Buddismo Roma, Mediterranee, 1986; Dizionario buddista Roma, Ubaldini, 1981; Dizionario delle opere filosofiche Milano, Bruno Mondadori, 2000; Dizionario letterario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi Milano, Bompiani, 1947; Cronologia universale Torino, UTET, 2002; Enciclopedia Universale dell'Arte, Istituto per la Collaborazione Culturale, Venezia-Roma, parte editoriale a cura della Casa Editrice G. C. Sansoni, Firenze, 1958, quindi Casa Editrice Sadea, Firenze, 1971 e Roma, 1976, quindi Istituto Geografico De Agostini SpA, Novara, 1980; tranne il Dizionario del Buddismo, Esperia, Milano, 2006 e l'enciclopedia Treccani che riporta ambedue le grafie.</ref><ref>Per quanto controversa la nozione di religione è ormai da decenni universalmente applicata al buddismo, anche se alcuni praticanti occidentali ne contestano l'attribuzione, ma come nota Lionel Obadia:Template:Citazione </ref><ref>Template:Cita web</ref><ref>Template:Cita web</ref> è una delle filosofie religiose più antiche e diffuse al mondo. Originato dagli insegnamenti dell'asceta itinerante indiano Siddhārtha Gautama (VI, V sec. a.C.), comunemente si riassume nelle dottrine fondate sulle quattro nobili verità (sanscrito: Catvāri-ārya-satyāni). Nel mondo ha tra i 350 e i 550 milioni di fedeli.

Con il termine buddismo si indica quell'insieme di tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali, individuali e devozionali, nate dalle differenti interpretazioni di queste dottrine, che si sono evolute in modo anche molto eterogeneo e diversificato<ref>«La nozione di "buddismo" che poi raggruppa un insieme assai articolato d'indirizzi dottrinali in competizione tra loro, privilegia indebitamente ciò che li accomuna rispetto a ciò che costituisce la loro peculiarità, dando l'impressione erronea che si tratti di un movimento unitario piuttosto che di un fascio di numerose scuole divergenti (i cosiddetti nidāna, infelicemente resi con "sètte" nella letteratura corrente) come è invece il caso.» (M. Piantelli, Il buddismo indiano, in Buddismo, a cura di Giovanni Filoramo. Bari, Editori Laterza, 2007, pag.5)</ref><ref>Frank E. Reynolds e Charles Hallisey, in Buddismo Enciclopedia delle Religioni, diretta da Mircea Eliade. Milano, Città Nuova-Jaca Book, 1986, pag. 67-68.</ref>.

Sorto nel VI-V secolo a.C. come disciplina spirituale assunse nei secoli successivi i caratteri di dottrina filosofica e, secondo alcuni autori, di religione "ateistica"<ref>Cfr. Hōseki Shinichi Hisamatsu, Una religione senza dio. Genova, il Melangolo, 1996.</ref>, intendendo con quest'ultimo termine non la negazione dell'esistenza degli dei (deva), quanto piuttosto il fatto che la devozione ad essi, fatto comunque considerato positivo, non condurrebbe alla liberazione ultima. Altri considerano i libri sacri buddisti (Canone pāli, Canone cinese e Canone tibetano) testi che non divinizzano Siddhārtha Gautama Buddha sakyamuni ma Adi-Buddha o Buddha eterno<ref>Vedere anche la dottrina dei Tre corpi del Buddha</ref>, concetti buddisti equivalenti a Dio; tuttavia non è una concezione affine a quella della divinità in senso occidentale, quanto, nel buddismo Mahāyāna, il principio della buddhità, raffigurato a volte nelle figure dei Buddha come Vairocana o Amitabha, manifestatosi storicamente come Gautama.<ref>Michio T. Shinozaki. Op. cit. pag. 88-9; Yoshiro Tamura, The Lotus Sūtra, tr. ingl. di Gene Reeves, Michio T. Shinozaki, Chuo Koron shuppannsha, Tokyo, 1969, pag. 93</ref><ref name="jodo">Template:Cita web</ref><ref>Shinran, Jōdo Wasan (Inni della Terra Pura), 88</ref> Il Mahāyāna venera anche i bodhisattva, esseri vicini all'illuminazione. A partire dall'India il buddismo si diffuse nei secoli successivi soprattutto nel Sud-est asiatico e in Estremo Oriente, giungendo, a partire dal XIX secolo, anche in Occidente.

Di seguito la classifica dei praticanti Buddisti per singolo paese:<ref>Template:Cita web</ref>

  1. Template:BHU 98%
  2. Template:THA 95%
  3. Template:CAM 95%
  4. Template:LAO 90%
  5. Template:MYA 85%
  6. Template:SRI 70%
  7. Template:MNG 53%
  8. Template:JPN 40%
  9. Template:TWN 35%
  10. Template:SIN 33%
  11. Template:KOR 23%
  12. Template:MAL 20%
  13. Template:CHN 20%
  14. Template:VIE 16%
  15. Template:NEP 9%
  16. Template:IDN 5%
  17. Template:IND 2%

Origini del termine

La parola buddismo fu introdotta in Europa nel XIX secolo<ref>Il primo a utilizzare il termine "buddismo" (bouddisme) fu lo storico francese Michel-Jean-François Ozeray (1764-1859) nella Recherches sur Buddou ou Bouddou, instituteur religieux de l'Asie orientale, pubblicata nel 1817.</ref> per riferirsi a ciò che è correlabile agli insegnamenti di Siddhārtha Gautama in quanto Buddha. In realtà un'unica parola per esprimere questo concetto non esiste in nessuno dei paesi asiatici originari di tale tradizione religiosa.<ref>«Il concetto di Buddismo fu creato circa tre secoli fa per indicare una tradizione religiosa panasiatica risalente a circa 2.500 anni fa.», Frank E. Reynolds e Charles Hallisey in Buddhism: An Overview, Encyclopedia of Religion, USA, Mc Millian References, 1994, anche Second Edition 2005, Vol. II pag. 1087.</ref>.

La traduzione dei termini originari letteralmente va intesa come "insegnamento del Buddha" (sanscrito buddha-śāsana, pāli buddha-sāsana, cinese 佛教 pinyin fójiào Wade-Giles fo2-chiao4, giapponese bukkyō, tibetano sangs rgyas kyi bka' , coreano 불교 bulgyo, vietnamita phật giáo).

Originariamente "l'insegnamento del Buddha" si denominava come dharma Vinaya (pāli dhamma-vinaya, cinese 法律 fǎlǜ, giapponese hōritsu, tibetano chos 'dul ba, coreano 법률 bŏpnyul, vietnamita phật pháp), ma questa denominazione non ha avuto quella diffusione nelle lingue asiatiche diverse dal sanscrito quanto invece la denominazione buddha-śāsana.

Altri termini sanscriti con cui viene indicato il buddismo, nella sua accezione di religione esposta dal Buddha Shakyamuni, sono: buddhânuśāsana, jinaśāsana, tathāgataśāsana, dharma, buddhânuśāsti, śāsana, śāstuḥ ma anche buddha-dharma e buddha-vacana.

Storia

Template:Vedi anche Proselitismo buddista al tempo del re Template:Unicode (260-218 a.C.), così come descritto dai suoi editti. La storia del buddismo inizia nel VI-V secolo a.C., con la predicazione di Siddhārtha Gautama. Nel lungo periodo della sua esistenza, la religione si è evoluta adattandosi ai vari Paesi, epoche e culture che ha attraversato, aggiungendo alla sua originale impronta indiana elementi culturali ellenistici, dell'Asia Centrale, dell'Estremo Oriente e del Sud-Est Asiatico; la sua diffusione geografica fu considerevole al punto da aver influenzato in diverse epoche storiche gran parte del continente asiatico. La storia del buddismo, come quella delle maggiori religioni, è anche caratterizzata da numerose correnti di pensiero e divisioni, con la formazione di varie scuole; tra queste, le più importanti esistenti sono la scuola Theravāda, le scuole del Mahāyāna e le scuole Vajrayāna.

I fondamenti del buddismo

I fondamenti del buddismo dei Nikāya e del Buddismo Theravāda

Monaco buddista in meditazione nel Wat Mahathat (Sukhothai), Thailandia.

All'origine e a fondamento del buddismo dei Nikāya e del buddismo Theravāda troviamo le quattro nobili verità. Si narra che il Buddha, meditando sotto l'albero della Bodhi, le comprese nel momento del proprio risveglio spirituale<ref>Vi sono molti termini sanscriti e pāli che indicano questo stato di "risveglio spirituale". Il più comune è bodhi (sia sanscrito che pāli). In cinese viene reso con 菩提 pútí (giapp. bodai, cor. boje). Una resa ben più antica di questa è 道 (dào giapp. , cor. to, che significa anche "Via"). Successivo invece è 覺 (jué o jiǎo, giapp. kaku o gaku, cor. kak o kyo). Da ricordare anche 三菩提 (sānpútí, che indica il sanscrito saṃbodhi, giapp. sanbodai, cor. samboje tibetano rdzogs par byang chub pa), Molto utilizzato nelle scuole del Buddismo Zen è 悟 (, giapp. satori o go, cor. o) che attiene tuttavia maggiormente al significato di "comprensione della Realtà"; peraltro il termine giapponese satori deriva dal verbo satoru che significa "conoscere", "comprendere". Sempre in questa scuola un utilizzo più vicino al sanscrito bodhi è certamente kenshō (見性, cin. jiànxìng, cor. kyeonseong) nel suo significato di "guardare la propria natura di Buddha" (ovvero attualizzare la propria natura "illuminata"). In tibetano bodhi è reso con byang chub.</ref>.

Esse sono riportate in vari discorsi del Canone pāli<ref>Template:Cita web</ref>, a cominciare dal Dhammacakkappavattana Sutta del Saṃyutta Nikāya, e nel Canone cinese nello Záhánjīng (雜含經, giapp. Zōgon agonkyō, collocato nello Āhánbù, T.D. 99.2.1a-373b), traduzione in cinese del testo sanscrito Saṃyuktāgama al cui interno è collocato il Dharmacakrapravartana Sūtra.<ref>Da tenere presente che i due testi appartengono a due scuole differenti del Buddismo dei Nikāya. Il primo appartiene alla scuola cingalese Theravāda e proviene, probabilmente, dalla scuola indiana Vibhajyavāda; il secondo appartiene invece alla scuola Mulasarvāstivāda che deriva a sua volta dalla scuola Sarvāstivāda.</ref>

Questo è, sempre secondo la tradizione, il primo discorso del Buddha, tenuto nel parco delle gazzelle nei pressi di Sarnath vicino Varanasi (detta anche Benares) nel 528 a.C. ai suoi primi cinque discepoli, all'età di 35 anni, dopo che nei pressi del villaggio di Bodhgaya, nell'odierno Stato del Bihar, aveva raggiunto il risveglio spirituale.

Questo discorso è quindi anche detto il "Discorso di Benares", fondamentale per il buddismo, che da esso prende le mosse, tanto da essere considerato l'evento che dà inizio al dharma, ossia la dottrina buddista. La ricorrenza di questo evento è celebrata nei paesi di tradizione theravāda con la festa di Āsāḷha Pūjā. Da altri è invece considerato il punto d'inizio della prima comunità buddista, formata proprio da quei cinque asceti che lo avevano abbandonato anni prima sfiduciati, dopo essere stati a lungo suoi discepoli.

In questo discorso si identifica il buddismo come "la via di mezzo" (sanscrito madhyamā pratipadā, pāli majjhimā pāṭipadā) in cui si riconosce che la retta condotta risiede nella linea mediana di condotta di vita evitando tanto gli eccessi e gli assolutismi, quanto il lassismo e l'individualismo.

Nell'esposizione di questo insegnamento il Buddha enuncia le quattro nobili verità, frutto del proprio risveglio spirituale testé raggiunto, che contemplano l'aspetto pratico della condotta di vita e della pratica spirituale buddista nel cosiddetto Nobile ottuplice sentiero, che costituisce il secondo cardine dottrinale del buddismo.

I punti salienti della visione buddista della "realtà percettiva" indirizzata dall'insegnamento del Buddha, sono:

  1. La dottrina della sofferenza o duḥkha (sans., dukkha, pāli), ossia che tutti gli aggregati (fisici o mentali) sono causa di sofferenza qualora li si voglia trattenere ed essi cessino, oppure si voglia separarsene ed essi permangano.
  2. La dottrina dellTemplate:'impermanenza o anitya (sans., anicca, pāli), ossia che tutto quanto è composto di aggregati (fisici o mentali) è soggetto alla nascita ed è quindi soggetto a decadenza ed estinzione con la decadenza ed estinzione degli aggregati che lo sostengono;
  3. La dottrina dell'assenza di un io eterno e immutabile, la cosiddetta dottrina dellTemplate:'anātman (sans., anattā, pāli) come conseguenza di una riflessione sui due punti precedenti.

Tale visione è integrata nella:

  • Dottrina della coproduzione condizionata (sans. pratītyasamutpāda, pāli paṭiccasamuppāda), ossia del meccanismo di causa ed effetto che lega gli esseri alle illusioni e agli attaccamenti che costituiscono la base della sofferenza esistenziale;
  • Dottrina della vacuità (sans. śunyātā, pāli: suññatā) che insiste sull'inesistenza di una proprietà intrinseca nei composti e nei processi che formano la realtà e sulla stretta interdipendenza degli stessi.

Preghiera buddista in Nepal Un elemento importante del buddismo, riportato in tutti i Canoni, è la conferma dell'esistenza delle divinità come già proclamate dalla letteratura religiosa vedica (i deva, tuttavia, nel buddismo sono sottomessi alla legge del karma e la loro esistenza è condizionata dal saṃsāra). Così nel Majjhima Nikāya 100 II-212<ref>Template:Cita web</ref> dove al brahmano Sangarava che gli chiedeva se esistessero i Deva, il Buddha storico rispose: «I Deva esistono! È questo un fatto che io ho riconosciuto e su cui tutto il mondo è d'accordo». Sempre nei testi che raccolgono i suoi insegnamenti, testi riconosciuti tra i più antichi in assoluto e conservati sia nel Canone pāli che nel Canone cinese e che la storiografia contemporanea inquadra nel termine Āgama-Nikāya, il Buddha storico consiglia a due brāhmaṇa che, dopo aver dato da mangiare a uomini santi, si debba dedicare questa azione alle divinità (deva) locali che restituiranno l'onore concesso loro assicurando il benessere dell'individuo (Digha-nikāya, 2,88-89<ref>Template:Cita web</ref>). È evidente, a partire da questi due antichi brani, la certezza da parte del Buddha storico che le divinità esistessero e andassero onorate. A differenza, tuttavia, delle altre correnti religiose dell'epoca, il Buddha ritiene che le divinità non possano offrire all'uomo la salvezza dal saṃsāra, né un significato ultimo della propria esistenza. Va precisato, peraltro, che non esiste, né è mai esistita alcuna scuola buddista al mondo che affermi, o abbia affermato, l'inesistenza delle divinità. Tuttavia la totale mancanza di centralità delle divinità nelle pratiche religiose e nelle dottrine buddiste di tutte le epoche ha fatto considerare, da parte di alcuni studiosi contemporanei, il buddismo come una religione 'atea'<ref>Hoseki Schinichi Hisamatsu, Una religione senza Dio. Satori e ateismo Roma, Il Nuovo Melangolo, 1996.</ref>.

I fondamenti del buddismo Mahāyāna

A questo quadro dottrinario, proprio del buddismo dei Nikāya e del buddismo Theravāda, il buddismo Mahāyāna aggiunge le dottrine esposte nei Prajñāpāramitā sūtra e nel Sutra del loto. All'interno di questi insegnamenti la dottrina della vacuità (sans. śunyātā) acquisisce un ruolo assolutamente centrale in quanto rende correlate, nella Realtà assoluta, tutte le altre realtà e dottrine. Questa unificazione nella vacuità, ovvero di privazione di sostanzialità inerente, fa dichiarare al patriarca del Mahāyāna, Nāgārjuna:

Template:Citazione

Per il Sutra del Loto inoltre: Template:CitazioneQuesta presentazione delle quattro nobili verità nella parte più antica del Sutra del Loto indica che, secondo le dottrine esposte in questo Sutra e attribuite da questo testo allo stesso Buddha Śākyamuni, tale dottrina non esaurisce l'insegnamento buddista il quale deve invece mirare allTemplate:'anuttara-samyak-sambodhi ovvero all'illuminazione profonda e non limitarsi al nirvāṇa generato dalla comprensione delle quattro nobili verità. Nel suo complesso anche il Sutra del Loto non insiste sulle dottrine del duḥkha (la sofferenza, la prima delle quattro nobili verità) e dellTemplate:'anitya (impermanenza dei fenomeni) quanto piuttosto su quelle dellTemplate:'anātman e dello śūnyatā (assenza di sostanzialità inerente a tutti i fenomeni). Il Dharma esposto nei primi 14 capitoli del Sutra del Loto corrisponde alla verità dell'apparire dei fenomeni secondo la causazione che segue le dieci condizioni (o "talità", sanscrito tathata) descritte nel II capitolo del Sutra. Il Dharma profondo è quindi nella comprensione della causa dei fenomeni; la realizzazione spirituale, la bodhi profonda (lTemplate:'anuttarā-samyak-saṃbodhi), consiste nel comprendere questa "causa" dell'esistere, mentre la verità della sofferenza (duḥkha), come anche la dottrina dellTemplate:'anitya, implica solo un giudizio. Nel Sutra del Loto non viene quindi enfatizzata la verità della sofferenza contenuta nelle quattro nobili verità. Ecco perché quando il Buddha è sollecitato a insegnare la Legge "profonda" (nel II capitolo) non la esprime con la dottrina delle quattro nobili verità (considerata nel Sutra come dottrina hīnayāna) ma la esprime secondo le dieci talità (o condizioni, sanscrito tathātā, dottrina mahāyāna)<ref>Cfr., tra gli altri, John Ross Carter. Quattro nobili verità-Interpretazioni del Mahāyāna. In Encyclopedia of Religion, vol. 5. NY, MacMillan, 2004, pagg. 3179 e segg.</ref>.

I fondamenti del buddismo Mahāyāna-Vajrayāna

File:Buddhist Monuments in the Horyu-ji Area-122502.jpg
Monumento buddista nell'area Horyu-ji

La terza grande corrente del buddismo esistente in epoca contemporanea, la corrente Vajrayāna (Veicolo del diamante), è essa stessa uno sviluppo del buddismo Mahāyāna. Alle dottrine proprie del Mahāyāna quali ad esempio la vacuità (śunyātā), karuṇā, la bodhicitta il Vajrayāna aggiunge, allo scopo di poter realizzare "in questo corpo e in questa vita" l'"illuminazione profonda", alcuni insegnamenti "segreti" denominati come tantra e riportati nella propria letteratura religiosa.

Canoni buddisti

Template:Vedi anche Fra i testi più antichi del buddismo si annoverano i cosiddetti canoni: il Canone pāli (o Pāli Tipitaka), il Canone cinese (in cinese: Template:Cinese), e il Canone tibetano (composto dal Kangyur e dal Tenjur) così denominati in base alla lingua degli scritti. Il monaco buddista tibetano Geshe Konchog Wangdu legge dei sutra da una vecchia edizione xilografica del Kanjur. Il Canone pāli è proprio del buddismo Theravāda, e si compone di tre piṭaka, o canestri successivamente raccolti in 57 volumi: il Vinaya Piṭaka, o canestro della disciplina, con le regole di vita dei monaci; il Sutta Piṭaka o canestro della dottrina, con i sermoni del Buddha; infine lTemplate:'Abhidhamma Piṭaka o canestro della fenomenologia in ambito cosmologico, psicologico e metafisico, che raccoglie gli approfondimenti alla dottrina esposta nel Sutta Piṭaka.

Il Canone cinese si compone di 2.184 testi a cui vanno aggiunti 3.136 supplementi tutti raccolti successivamente in una edizione in 85 volumi.

Il Canone tibetano si suddivide in due raccolte, il Kangyur (composto da 600 testi, in 98 volumi, riporta discorsi attribuiti al Buddha Shakyamuni) e il Tanjur (Raccolta, in 224 volumi, di 3.626 testi tra commentari e insegnamenti).

Parte dei Canoni cinese e tibetano si rifanno ad un precedente Canone tradotto in sanscrito ibrido sotto l'Impero Kushan e poi andato in buona parte perduto. Questi due Canoni furono adottati dalla tradizione Mahāyāna che prevalse sia in Cina che in Tibet. Il Canone sanscrito riportava tutti i testi delle differenti antiche scuole e dei differenti insegnamenti presenti nell'Impero Kushan. La traduzione di tutte queste opere dalle originali lingue pracritiche a quella sanscrita (una sorta di lingua dotta 'internazionale' come lo fu il latino nel Medioevo europeo) fu voluta dagli stessi imperatori kushan. Buona parte di questi testi furono successivamente trasferiti in Tibet e in Cina sia da missionari kushani (ma anche persiani, sogdiani e khotanesi), sia riportati in patria da pellegrini. Da segnalare che le regole monastiche (Vinaya) delle scuole presenti in Tibet e in Cina derivano da due antichissime scuole indiane (vedi buddismo dei Nikāya), rispettivamente dalla Mūlasarvāstivāda e dalla Dharmaguptaka.

Correnti del buddhismo

Diffusione del buddismo nel mondo

In India

Il buddismo nacque in India, paese d'origine, approssimativamente attorno al VI secolo a.C. Tuttavia, durante più di 1500 anni di storia il buddhismo indiano ha sviluppato indirizzi e interpretazioni diverse, anche estremamente complesse. Lo sviluppo di tale complessità si rese necessario con il continuo confronto dottrinale sia all'esterno delle Comunità monastiche con le scuole brahmaniche e jaina, sia all'interno delle stesse per svelare progressivamente gli insegnamenti (soprattutto i cosiddetti "inesprimibili", sanscrito avyākṛtavastūni) contenuti negli antichi Āgama-Nikāya. Le scuole nate nel sub-continente indiano nel corso di questi 1500 anni di storia sono suddivisibili in tre gruppi:

  • Il buddismo dei Nikāya, un insieme di scuole buddiste sorte nei primi secoli dopo la morte del Buddha Śākyamuni (vedi anche Concili buddisti) che non riconoscevano la canonicità degli insegnamenti riportati nei Prajñāpāramitā sūtra e nel Sutra del Loto, scritture successivamente denominate come sūtra Mahāyāna e che compaiono nel Canone cinese e nel Canone tibetano. Da una di queste scuole del buddismo dei Nikāya, la Vibhajyavāda, origina l'importante scuola cingalese, ancora diffusa nel Sud-Est asiatico, denominata Theravāda.
  • buddismo Mahāyāna o del «Grande Veicolo», sviluppatosi a partire da alcune comunità buddiste antiche ma con l'accoglimento degli insegnamenti riportati nei Prajñāpāramitā Sūtra e del Sutra del Loto. Buona parte del buddismo indiano a partire dal II secolo fino alla sua scomparsa è rappresentato o influenzato da questa corrente, in seno alla quale meritano particolare menzione gli indirizzi Madhyamaka, Cittamātra e il buddismo Vajrayāna. La quasi totalità delle differenti scuole presenti in Estremo Oriente appartengono a questo Veicolo.
  • Il buddismo tantrico è anch'esso Mahāyāna, e rappresenta la controparte buddista di un fenomeno più ampio nelle religioni dell'India, il tantrismo, che ha influenzato anche l'Induismo. Si sviluppò in seno al Buddismo Mahāyāna e ne influenzò profondamente la pratica, almeno dal VI secolo in poi. Anche noto come Mantrayāna, la sua forma più organizzata è più conosciuta come Buddismo Vajrayāna o Veicolo del Diamante. Antiche cronache del buddismo come la "Storia dell'avvento del dharma in India" (tib. rGyar-gar chos-'byung) redatta nel 1608 dallo storico tibetano Tāranātha Kunga Nyingpo attestano che, almeno dal X secolo, i centri universitari buddisti in India dispensavano soprattutto insegnamenti tantrici. Pressoché tutte le scuole tibetane, ma anche diverse scuole estremo-orientali come la giapponese Shingon, appartengono a questa tradizione.

Il buddismo fuori dall'India

Template:Vedi ancheTra le tradizioni che fuori dall'India hanno avuto una lunga storia e un'evoluzione in parte indipendente ricordiamo: Un moderno tempio buddista a Qibao, Shanghai, Cina.

Note

<references />

Bibliografia

Di seguito una bibliografia ragionata dei testi 'del' e 'sul' buddismo in lingua italiana.

Testi storiografici sul buddhismo, tutte le scuole e tutti i paesi

Testi canonici afferenti al buddhismo dei Nikāya o al buddhismo Theravāda

Sono i testi ritenuti canonici da tutte le scuole buddhiste. Occorre ricordare che la scuola Theravāda considera "canoniche" solo le opere contenute nel Canone pāli.

  • Nyanaponika Thera. Il cuore della meditazione buddhista, Roma, Ubaldini Editore, 1978.
  • Template:Cita libro
Contiene una selezione di scritti dal Canone pāli, dal Canone tibetano nonché un sūtra, lo Śālistambasūtra, scoperto agli inizi dello scorso secolo nel Gilgit.
Contiene il Dhammapada, Itivuttaka e il Suttanipata estratti dal Canone pāli.
È la pubblicazione della terza raccolta contenuta nel Sutta Piṭaka del Canone pāli, il Saṃyutta Nikāya «Raccolta dei gruppi»
È la pubblicazione (in due volumi) della quinta raccolta contenuta nel Sutta Pitaka del Canone pali, il Khuddaka Nikāya «Raccolta dei testi brevi»
il Majjhima Nikāya tradotto in italiano, tre volumi

Testi canonici per il buddhismo Mahāyāna

Sono testi considerati canonici solo dalle scuole del buddhismo Mahāyāna e del buddhismo Vajrayāna. Non sono ritenuti canonici dalla scuola Theravāda e dalle altre scuole del buddhismo dei Nikāya, queste ultime tutte scomparse.

Contiene una raccolta di sūtra del buddhismo Mahāyāna (tra gli altri contiene una traduzione integrale del Śūraṃgamasamādhi sūtra) e di tantra del buddhismo Vajrayāna nonché commentari ed opere esegetiche estratti dal Canone cinese e dal Canone tibetano
Contiene la traduzione del Sutra del Diamante e del Sutra del Cuore.

Miscellanea

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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